domenica 27 gennaio 2008

Shoah, il Giorno della memoria per non dimenticare l'orrore

IL VALORE DELLA MEMORIA


La memoria della memoria, questa espressione sembrerebbe una “battuta” assurda o uno slogan pubblicitario. E sarebbe davvero tale, se la memoria consistesse nell’apertura di un nostro archivio segreto (individuale o collettivo, poco importa) per riportarne alla luce informazioni preziose che la trascuratezza o, peggio, la volontà di dimenticare, avrebbero tentato di occultare.Ma non è necessariamente così.La memoria è un possente strumento per capire e per rispondere alle sollecitazioni del presente. La guerra nei Balcani, il Medio Oriente in fiamme, il minacciato “scontro di civiltà” dimostrano che l’odio fra le genti e le stragi degli innocenti non sono una pura e semplice eredità di un passato sogno di incubi; e allora, alle nostre menti si affaccia la domanda angosciata: ma sarà sempre così, anzi, sempre più così?La risposta implicita che abbiamo dato a questa domanda fino a questo momento era di concludere che la Shoah fosse stata a tal punto mostruosa da risultare incomprensibile con i comuni strumenti della mente umana, che fosse stata, in una parola, “follia”, sia pure follia criminale: follia degli uomini, follia di un intero popolo, follia di Hitler. E, come tale, almeno per coloro che credono nella razionalità di fondo dello spirito umano, irripetibile. Tanto da giustificare l’autentico giuramento con il quale si concludevano tutte le nostre manifestazioni: “Mai più”.Sentiamo però che questo modo di affrontare la memoria non è più sufficiente.Perché la nostra premessa non è scevra da critiche; la memoria non è, infatti, un supporto magnetico cui attingere dati ma è una funzione attiva della nostra mente, che sa in partenza a quale tipo di dati rivolgere la propria attenzione e quali, invece, trascurare; che sa in partenza quali sono i problemi che deve affrontare e, spesso, ha già formulato, se non proprio un giudizio definitivo, almeno delle ipotesi di risposta; e cerca “nella memorie” quei dati che possono confermare o respingere il giudizio stesso.Possiamo dunque indicare dei cosiddetti “valori” che sono in realtà giudizi dei quali siamo già forniti a priori e che orientano il nostro modo di scavare in profondità nella memoria? Certamente, sì.Il primo dei nostri valori si chiama civiltà ed esso significa il procedere del consorzio umano dalla legge del trionfo del più forte a quella del supporto per i più deboli, dalla soppressione del rivale o di quello che si ritiene possa soltanto chiedere alla società senza nulla dare, al principio della solidarietà.Il secondo valore significa valorizzare la varietà umana, la ricchezza delle “altre” culture, delle altre lingue, delle altre Fedi. Esso significa la libera circolazione delle idee, senza opporvi ostacoli, neppure economici.Il terzo valore, infine, indica il dialogo, il confronto, la trattativa, come unici strumenti che possono risolvere i contenziosi umani, proibendo, come reato, qualsiasi ricorso alla violenza.“Memoria” significa allora scavare nel passato in modo selettivo, per cercarvi non tanto le gesta degli eroi sui campi di battaglia quanto gli esempi di solidarietà e di cooperazione; esempi forse rimasti nell’ombra ma non per questo meno rilevanti, forse al contrario. E’ questa infine quella Memoria che può diventare uno strumento di fiducia nel domani. E’ questa che ci accingiamo a celebrare.
Prof. Amos Luzzatto



L'angelo della storia

“Un ritratto di Paul Klee si intitola Angelus Novus: raffigura un angelo con gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. E' l'angelo della storia: nelle sue ali è impigliata una tempesta che lo spinge inesorabilmente verso il futuro, cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine del passato sale dinnanzi a lui verso il cielo. Ciò che chiamiamo progresso è questa tempesta”

Walter Benjamin



Il dovere della memoria

La Tradizione ebraica è caratterizzata dall'imperativo categorico zachor, ricorda. "Noi ebrei - scriveva Martin Buber nel 1938 - siamo una comunità basata sul ricordo. Il comune ricordo ci ha tenuti uniti e ci ha permesso di sopravvivere...". Il verbo zachar, nelle sue varie forme, ricorre nella Bibbia ben 222 volte e, nella maggior parte dei casi, ha per soggetto Israele o Dio. La memoria, infatti, incombe su entrambi.Il concetto di ricordare trova il suo complemento e completamento in quello di segno opposto: dimenticare. Al popolo ebraico viene ingiunto di ricordare e al tempo stesso di non dimenticare. La Toràh - il Pentateuco - in particolare nel versetto del Deuteronomio, 32; 7, ci sprona ripetutamente a ricordare e a non dimenticare.Nelle ultime parole di congedo, Mosè raccomanda al popolo: " Ricorda i tempi antichi, cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi (il corso della storia ), interroga tuo padre e ti racconterà, i tuoi anziani e te lo diranno....".Ma sbaglierebbe chi intendesse questa affermazione come un mero invito a fondare la nostra esistenza sul passato che ci appartiene. La memoria, custodita di generazione in generazione, è l'antidoto più potente contro la morte, rappresentando una ferma determinazione, una volontà di non abbandonare nel nulla le tracce di ciò che è già trascorso e passato ed è ormai sparito dalla storia. Nell'ebraismo, infatti, il passato non è qualcosa di sorpassato, privo di utilità, ma al contrario costituisce un valido aiuto per affrontare la vita. Per questo nella Toràh ci viene detto anche che ricordare gli avvenimenti non puo' bastare: "...binu scenot dor vador....", "...cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi...". Bisogna riflettere su di essi, ponderarli, capirne a fondo il significato. L' insegnamento della Toràh, come si vede, è ben differente rispetto alla saggezza di Plutarco, secondo cui " la storia si ripete ". Per la cultura ebraica la storia non si ripete. E' semmai l'uomo che puo' perpetuare i suoi fallimenti e i suoi successi. Ricordare il passato, ma soprattutto comprenderlo, ci aiuta a mettere a fuoco correttamente gli eventi attuali.Non a caso Rashi', forse il piu' autorevole commentatore della Bibbia ( 1040-1105 ) nel suo commento a Deuteronomio, 32; 7, interpreta il passaggio "... Binu scenot dor vador..." non tanto come " gli anni dei secoli trascorsi " ma piuttosto come " gli anni delle future generazioni ", nella convinzione che il futuro sarà tanto migliore quanto meno si dimenticheranno le lezioni del passato.Il compito di trasformare il ricordo in memoria viva e trasmetterlo alle generazioni future è assegnato dall'ebraismo alla ‘Tradizione orale’ che, anzichè essere isolata e decontestualizzata in un monumento, è inserita nella continuità di un sistema culturale.Ma come impedire che la memoria muoia cristallizzandosi nella prospettiva storica, come è accaduto con le Crociate, con l'Inquisizione, con i progrom? La storia dà garanzia di stabilità al ricordo, ma quasi sempre monumentalizza e distanzia i sentimenti, li raffredda, li normalizza, e pretende di offrire in cambio un'impossibile obiettività. La storia come il monumento sottrae la memoria alla sua appartenenza individuale per consegnarla alla collettività universale, che la deposita nel proprio archivio polveroso dopo averla elaborata in modo soggettivo, magari opportunamente revisionata, per liberarsene come di un documento scomodo. La commemorazione del passato, i monumenti ai caduti, i musei, sono tutte forme di memoria collettiva istituzionalizzata e, di fatto, sottratta alla coscienza individuale. Per assicurare alla memoria un ruolo vitale, anche nella salvaguardia di un modello di vita, è dunque necessario che la memoria storica si innesti nel presente entrando a far parte della coscienza individuale. A maggior ragione, quindi, abbiamo il dovere di ricordare e perpetuare il ricordo della Shoah, momento tra i più tragici della storia ebraica. Oggi, quindi, le manifestazioni e le testimonianze sono particolarmente significative poichè assistiamo ad una recrudescenza di violenza che non ci deve lasciare inerti. Anche in Italia vi è un tentativo esplicito da parte di alcuni di mettere sullo stesso piano, vittime e carnefici, persecutori e perseguitati. Ma il tempo trascorso non puo' legittimare operazioni del genere. Per questo siamo convinti che il dovere di ricordare appartenga a tutti gli uomini, proprio perchè quei fatti hanno ancora un aspetto di attualità. Noi dobbiamo in tutti i modi sostenere i superstiti che si sono assunti il gravoso impegno di testimoniare affinchè il sacrificio di coloro che non sono piu' ritornati non cada nel vuoto. Il loro messaggio è un monito che ci invita ad operare affinchè cio' che è accaduto una volta non si ripeta. Quindi oggi piu' che mai dobbiamo ricordare quei giorni e non dimenticare, poichè dimenticare nell'ingenua speranza di sopire l'offesa subita, come taluni affermano, puo' significare vedere riacutizzare ancora di piu' il pericolo che tali tragedie possano ripetersi.Non resta che percorrere quindi la via della perpetuazione del ricordo a monito per i posteri. Una memoria attiva, come ci ha insegnato Primo Levi, che significa per ognuno, e non solo per l'ebreo, assumere i crimini della storia come male fatto a ciascuno di noi, appartenenti tutti alla grande famiglia dell'umanità. E significa anche non liberarsi mai passivamente del dolore e del lutto elaborandoli attraverso riti, cerimonie e monumenti, ma accettarli come segno permanente di un crimine le cui responsabilità collettive e singole sono assai precise, malgrado i ripetuti tentativi di confondere la storia. Ben vengano tutte le testimonianze, articoli, libri di storia, film e conferenze di ogni genere che ci parlino della Shoà e che ne parlino a tutti. Resta, poi, a noi il compito di trasmettere, commentare e far rivivere questa memoria per non dimenticare chi si è ed da dove si viene.Nel libro di interviste ai figli dei deportati di Claudine Vegh, Non gli ho detto arrivederci, un figlio racconta ancora perplesso dopo quasi quarant'anni, come suo padre, mentre veniva trascinato dalle SS, anzichè dirgli per l'ultima volta "ti voglio bene, non temere nulla, bada a te stesso" , gli abbia invece urlato soltanto: " Robert, non dimenticare mai che sei ebreo e devi restare ebreo". Il figlio, ormai adulto, continua a interrogarsi sul senso di quel monito "non dimenticare mai.....". Evidentemente era, per il padre, l'unico modo di dirgli - nei pochi attimi che gli restavano - che per sopravvivere, egli doveva preservare viva la memoria di sé, la sua identità, la sua coscienza, la sua storia.

Roberto Della Rocca
direttore Dipartimento Educazione e Cultura
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

1 commento:

Adelpor ha detto...

Vedo con piacere che un nostro comune limitrofo organizza un "viaggio della memoria" ad Auschwitz dove molti giovani parteciperanno per non dimenticare la tragedia dell'olocausto...

Ho visto l'articolo su Lameziaweb e voglio segnalarvelo:

http://www.lameziaweb.biz/newlametino.asp?id=2234

Ora perche' non chiediamo anche al nostro comune di organizzare, anche non subito viste anche le non floride finanze in cui naviga, un viaggio culturale di questa portata?