giovedì 11 settembre 2008

Ricordi belli e tristi


Siamo nati in un paese molto povero.

Da ragazzi i nostri giocattoli erano quelli che ci dava la natura. E noi li scoprivano nella terra nei fiori nei frutti negli oggetti. I nostri passatempo sono stati i chiodi, i ciottoli del fiume, le palline di vetro delle gassose, i pezzi di legno, i rocchetti del filo da cucire, zufoli, flauti (cindrilli, chjova, stacce, viettura, rocchelli, tirri, fhischaruli, fhischette, etc).

Per tanti anni, e ancora adesso, penso che dopo queste cose, non ho sentito mai, quanto le cose che ebbi fossero mie. L’adolescenza e l’infanzia sono stati per noi tutti qualcosa di indimenticabile, come la primavera che ogni giorno ci fa scoprire profumi nuovi, colori e segni di rinascita di vita .Da ragazzi abbiamo trascorso qui le feste, qui frequentato la scuola e scandito le stagioni. Ci siamo inebriati dei campi arati da poco, dal profumo della terra ,dall’erba appena tagliata, dal profumo del fieno, dal fruscio del grano accarezzato dal vento, che per noi prendeva le sembianze di un’onda di quel mare che forse non avevamo mai visto, l’ombra delle grandi querce, le siepi di rovi cariche di more, i nidi degli uccelli preda di noi piccoli cacciatori,i fichi che sostituivano le caramelle, gli ulivi, i fichi d’india che malgrado la pericolosità qualche volta riuscivamo a portar via, il canto delle cicale, le lucciole che rincorrevamo nelle calde notti di giugno, la polvere il fango, le povere case, e le persone del paese, gli amici e i compagni delle nostre avventure. Sentivamo e forse lo sentiamo ancora che tutto ciò ci apparteneva, che era dentro di noi. Perdemmo la nostra innocenza e le nostre certezze, solo quando il nostro destino venne improvvisamente attraversato dal treno. Partimmo portando con noi, nella valigia di cartone legata con lo spago,quanto si poteva per intraprendere un viaggio che conduceva più che a una destinazione ad un destino. Da allora le stazioni, i treni,le sale d’aspetto diventarono per necessità i luoghi d’incontro per comunicare il nostro estraneamento, la nostra fuga, le nostre aspirazioni .E si partiva per Roma per il nord Italia Milano, Torino, la Svizzera, la Francia ,il Belgio, la Germania L’America, sempre cercando di stare il più lontano possibile da ogni forma di sfruttamento e di disagio. L’emigrazione portava via noi, come prima aveva portato via i nostri padri, che ci venivano riconsegnati soltanto per le feste, a Natale con torroni susumelle, cioccolate e un’immancabile bottiglia di liquore che a quei tempi così come era successo precedentemente con il rosolio, andava a sostituire la classica bottiglia di Anice; Era il millefiori. Bottiglia lunga colore giallo ,con dentro la classica frasca carica di cristalli di zucchero, che veniva posta a padroneggiare sul comò ( o alla spuntuniera) accanto alle foto di famiglia come a simboleggiare un ritrovato benessere .Sono partito per la prima volta il 24 agosto del 1969, avevo solo 15 anni ed ero pronto per l’avventura. Eravamo in tanti ed andammo alla stazione di S. Eufemia ,con con la vecchia 600 multipla di Antonio Juliano. Prendemmo d’assalto i vagoni per Torino che erano fermi alla stazione entrando nella carrozza non attraverso la porta ma dai finestrini. Siamo scesi dai finestrini anche quando arrivammo alla stazione di La Spezia ma in questa circostanza a giustificarci ci fu l’impossibilita’ di attraversare il corridoio in quanto era diventato un carnaio di gente stipata tra i bagagli, che raggiungevano l’altezza dei finestrini. A distanza di quasi 40 anni e’ ancora in me vivo lo sguardo severo di quella gente che ci guardava in modo strano,e noi senza rendercene conto sembravamo nello stesso tempo, incantati e spauriti, come quegli uccelli che anno appena spiccato il primo volo, dal loro nido e non riuscendo ancora a volare con destrezza saltellano per terra. L’impatto con un mondo completamente diverso dal nostro non ci spaventava, eravamo animati da una voglia matta di fare , eravamo sicuri che da quel sacrificio dipendeva il futuro delle nostre famiglie,il cambiamento del nostro paese,il nostro riscatto. Man mano che il treno effettuava nuove fermate, le carrozze e i corridoi si riempivano come un’uovo. Dopo circa mezzora di viaggio non riuscendo a stare seduto,per la curiosità di vedere qualcosa di mai visto, mi sono alzato per andare in corridoio, immediatamente un signore mi ha chiesto se poteva occupare temporaneamente il mio posto,ed io sorridendo gli ho risposto, si che poteva.Sono rimasto in corridoio per un paio di ore, e quando avrei voluto riprendere il mio posto, il signore si era addormentato, cosi per timore di essere sgarbato ho passato tutto il viaggio in corridoio, a contemplare le stelle e a sognare circa il mio futuro, proiettandomi in un mondo meraviglioso e sconosciuto nello stesso tempo. Intanto il signore che occupava il mio posto non so se per finta o sul serio, ha continuato a dormire tutta la notte senza svegliarsi mai. Vagando così nel mio sogno, mi immedesimavo in qualcosa del mio futuro, che mi sembrava sempre più reale ed alla mia portata. Intanto per effetto della stanchezza la gente si accomodava per terra rendendo impraticabile il corridoio mente i gabinetti erano stati invasi da miriadi di valigie di cartone contenenti miseria e sogni legati insieme con lo spago. Fu così che mentre vicino al finestrino, mi perdevo in quei sogni, alcuni ragazzi di San Michele che si trovavano due o tre sportelli più avanti del mio, con la delicatezza contadina del tempo tirarono una sputacchiata fuori del finestrino, che per effetto della velocità del treno fece un’insidiosa curva a 180 gradi finendo la sua corsa sulla mia faccia, con l’effetto di farmi risvegliare dal sogno e tornare con i piedi per terra, in quella realtà che altro non era che lo sradicamento della nostra gente dalla sua terra e dai più elementari affetti familiari e non.


Pino Della Porta

Nessun commento: