mercoledì 21 novembre 2007

Storie di Migliuso - Brigantaggio

Come tutte le località dell’Italia meridionale anche la nostra zona ha registrato il fenomeno del brigantaggio.
Le motivazioni della nascita di questo fenomeno sono diverse, ma una puoò essere ritenuta comune per tutto il meridione d’Italia. La povertà delle masse contadine sfruttate dal regime feudale, impoverite dalle tasse e oppresse dal clero (che era diventato proprietario delle terre alla pari dei baroni). Il passaggio delle terre della chiesa ai soliti Baroni giacobini, dopo l’arrivo dei Francesi a discapito delle masse contadine.
Possiamo comunque distinguere il brigantaggio in tre periodi: Occupazione Francese - Restaurazione dopo il cogresso di Vienna - Periodo post unitario.
Va detto che al pari di tutti gli altri briganti quelli che hanno battuto la nostra zona non erano dei malfattori o banditi come qualcuno vuole insinuare. Erano operai, artigiani, contadini ribelli alla prepotenza ed al soppruso dello straniero, allo sfruttamento continuo ed alle ingiustizie sociali, al disumano trattamento in particolare per la gente indifesa ridotta alla fame e alla disperazione, dai baroni e dai loro rappresentanti, i quali parteggiavano, o erano sempre sul carro dei vincitori. Nessuno si deve meravigliare se durante la latitanza i cosiddetti briganti, braccati come cani, abbiano commesso atti di inconsulta violenza. I pastori della nostra zona non hanno mai negato il loro aiuto a coloro che avevano il coraggio di ribellarsi. Primo per una forma di rispetto, e poi anche per timore di conseguenze negative, che un tradimento avrebbe potuto comportare. Il più famoso brigante che ha trovato rifugio e poi la morte, nelle nostre zone è stato Pietro Paolo Mancuso (Parafante) ma tanti altri come Gallù da Caraffa (una fontana del bosco di grotte porta ancora il suo nome), Lorenzo Benincasa da Sambiase detto Papà (la località chjanu e papà è dove venne ucciso e fatto a pezzi dalle gendarmerie Francesi. Di questo periodo si narrano due brutti episodi. Il primo commesso dai briganti di Gallù ed il secondo dai gendarmi Francesi. Francesca Juliano con la nipotina Lauretta tornavano da Carratello dove erano pastori i loro genitori, e tornavano come possono tornare spensierate due giovanette di 12 e 16 anni cantando ua canzone dedicata al costume calabrese, “Ciu ciu lu pulicinu, cumu te mere ssu mantisinu” Quando queste ebbero raggiunto quello che oggi è chiamato u Chjanu e don Marcellu uscirono dal bosco i briganti e brutalmente violentarono entranbe e la violenza fu tale che Lauretta da allora perse l’uso della parola. Il secondo alla timpa delle grotte più o meno nella stessa zona fu perpetrato dai francesi ai danni di un pastorello di 14 anni Angelo Mazza al quale i gendarmi incontrandolo chiedettero notizie sui nascondigli dei briganti. I briganti che erano proprio dove si trovava Angelo quando scorsero la gendarmeria si nascosero sul crostone della timpa raccomandando al pastore di non parlare di loro altrimenti l’avrebbero ucciso. Angelo da buon calabrese disse di non sapere dove si nascondevano e di non aver visto nessuno ma uno dei soldati tirò fuori una cordicella (romaniellu) e con questa legò i pollici delle mani di Angelo mettendolo a penzoloni dentro la timpa e minacciandolo di lasciarlo cadere se non avesse rivelato dove stavano i briganti. Angelo da buon calabrese non parlo’, anche perche’i briganti che si trovavano sul crostone della timpa avevano puntato i loro fucili contro di lui minacciandolo di morte se avesse parlato. Alla fine dopo ore di sofferenza Angelo venne tirato su ma a conseguenza di ciò aveva riportato il distacco delle ossa dei pollici dalla mano perdendone l’uso. I pollici diventarono grossi come una mazzetta tanto che da allora Angelo Mazza venne soprannominato Mazzarella ed a distanza di quasi 200 anni il soprannome resiste ancora.
La seconda parte del brigantaggio non è cosi mitica come la prima perchè non ha uno straniero invasore da combattere ma non manca di efferrati episodi condotti da Diego Mazza da Serrastretta (il quale alla fine venne ucciso e suo cugino per paura che tornasse in vita col coltello gli mozzò la testa ) e da Giuseppe Guzzo di Miglierina (Soprannominato Fhaciune) che aveva promesso di uccidere 40 persone ma sfortunatamente per lui arrivò solo a 39 perchè il quarantesimo fu lui stesso. La nostra zona non fu coinvolta nel brigantaggio post unitario; ma appena dopo veniva infestata da bande di delinquenti comuni che trovavano appoggio anche presso famiglie del posto e vivevano di ruberie e sopprusi ai danni dei poveri pastori e contadini. Di questo periodo va ricordato il passaggio nella nostra zona del brigante Peppe Musolino. Angelo Lucia di Migliuso aveva il suo piccolo podere a Gaccia. Un giorno scorse una persona tra le sue piante di fichi d’india, si avvicinò per chiedere chi fosse e cosa facesse là, quando la persona in questione si avvicinò ad Angelo mostrandogli un fico che aveva mangiato e con segni da muto cerco di far capire che era affamato. Angelo cercò di far capire allo sconosciuto che non aveva niente di pronto con se ma se non aveva fretta presto sarebbe arrivata la moglie Rachele Juliano e avrebbe preparato qualcosa da mangiare. Peppe continuando a fingersi muto senza parlare mangiò e passò la notte in casa di Angelo, ma quando al mattino Angelo andò per svegliarlo Peppe non c’era più ed al suo posto aveva lasciato un biglietto con scritto “Tante grazie Peppe Musolino”. Angelo che era analfabeta si fece leggere il biglietto dal prete Don Tommaso Fragale.
Nei ricordi popolari vengono menzionati come briganti alcuni delinquenti comuni che hanno seminato morte nella nostra zona solo per il gusto ed il piacere di sentirsi grandi. Es. Carmine Cotronei datosi alla macchia e diventato poi fuorilegge perchè aveva disertato la leva militare e Pietro Scalise di Angoli con suoi compari Tommaso Mauro, Domenico Romeo etc. Il periodo più cruento del brigantaggio è stato quello della dominazione Francese 1806/1813. Gioacchino Murat diede pieni poteri al generale francese Antonio Manhes che agì con spietata energia tanto che nel giro di due mesi passo per le armi tremila imprendibili briganti. Quest’uomo non perdonò ad età sesso e parentela: con i veri rei caddero tanti innocenti ( A Migliuso i fratelli Scalise detti Valenti) e furono violate i più intimi sentimenti, gettata la diffidenza all’interno delle famiglie, morto ogni senso di pietà, per i più innocenti affetti della natura, si videro cose atroci, denuncie orribili, fughe romanzesche. Ordinò che ciacun comune denunciasse i briganti, armò i fattori e i guardiani, fece ritirare il bestiame agli agricoltori, fece sospendere tutti i lavori campestri, dichiarò la pena di morte per tutti coloro che in campagna nascondessero viveri. Tolse così ai briganti assistenza e connivenza con proprietari terrieri e contadini. Dopo averli isolati li fece assalire e fu così zelante che li assalì lui stesso e non perdonò nessuno, nemmeno una madre che ignara degli ordini, portava il solito vitto al figlio che stava lavorando nei campi, fece diventare la Calabria un campo chiuso dove gli uomini davano la caccia ad altri uomini. Manhes usò i più raffinati supplizi per dare l’esempio, Benincasa (Papà) e Parafanti per quanto crudeli morirono da intrepidi, così come cadde e scomparve la famiglia Scalise soprannominati "I valienti" (I valorosi).

Nessun commento: