mercoledì 31 ottobre 2007

Meliusum - Luci su Migliuso dei primi anni '50

Nei primi anni 50 Migliuso si presentava cosi’: le strade non erano asfaltate, il traffico scorreva dunque sulla terra battuta che d’estate sollevava nuvole di polvere, e d’inverno quando pioveva, diventava una palude di fango e melma. Le fogne non esistevano, i rifiuti si buttavano per le strade.
In mezzo ai rifiuti grufolavano i maiali,starnazzavano le galline e giocavamo noi bambini. Le case erano disadorne, le finestre, dotate di inferriate erano senza vetri, e facevano penetrare all’interno, vento, freddo e acqua. Generalmente le case erano una stanza al piano terra ed una a quello superiore collegate, tra di loro da una scala di legno pericolosissima, alla cui sommita’ stava una porta di chiusura detta catarattu. Nelle case non esitevano gabinetti. I benestanti generalmente facevano una specie di garitta nell’orto e questi funzionava da cesso (e’ lo era veramente). I poveri non ne avevano e si servivano dei campi, ma in caso di bisogno anche delle piazze o dei vicoli. Per la notte si usavano i pitali (Pisciaturi) ogni famiglia ne aveva a disposizione almeno due.Dopo l’uso, si rovesciava il contenuto dalla finestra, e di solito nessuno, si curava di avvertire i passanti. Tante case erano generalmente formate da un’ampia stanza, dove la gente viveva stipata come sardine nella piu’ assoluta promiscuita’. L’arredamento semplice e essenziale era formato da un letto, il tavolo, la credenza, una cassa di legno (a cascia) ed il cassone (u casciune) per le derrate alimentari. Il letto consisteva in un monumentale paliericcio (detto saccune) posato su delle tavole sorrette da supporti in ferro. Chi poteva vi stendeva un materasso di lana o almeno di crine. Le lenzuola e le coperte erano scarse, in alternativa avevamo a schavina ella fharzata; la prima generalmente era fatta di filato di ginestra, ruvida come la carta vetrata, la seconda era una specie di zerbino fatta con i ritagli di vecchi stracci multicorori o vestiti non piu’ utilizzabili .
D’inverno spesso a causa del freddo ci si coricava, senza spogliarsi completamente, usando anche i cappotti come coperte. I letti erano spesso affollati, come la metropolitana nell’ora di punta, i figli dormivano con i genitori, i fratelli dormivano con le sorelle, i nonni con i bambini etc.
Ai piedi del letto stava il braciere. Non mancava mai la madia (majilla) perche’ il pane si faceva in casa. Attaccato alle travi del soffitto c’era ricavato un ripostiglio per il pane ed i formaggi (l’armaru) cosi’ in alto si diceva per proteggerli dagli animali, ma forse anche per evitare che qualcuno ne facesse abuso.
Il ceto d’appartenenza dettava la dieta. I poveri si accontentavano di una minestra di verdura con fagioli e patate, un pezzo di pane e companatico spesso accompagnati da un cipolla e un peperoncino.
Le stoviglie erano scarse, e molte volte in un solo piatto grande (zuppiera) vi attingeva con cucchiai e forchette tutta la famiglia. Il coltello usato era quello che generalmente si portava in tasca, e non solo per mangiare.
La tovaglia era rustica ed ai sui lembi i commensali si pulivano la bocca e le mani. La domenica e i giorni festivi compariva in tavola la carne, che poteva essere di pollo, coniglio, agnello, ma piu’ spesso era di porco perche’ non c’era famiglia che non avesse il suo. Il pesce si usava pochissimo ed al massimo si faceva uso di baccala’ impanato e fritto.
Semisconosciuto era l’uso del fazzoletto, portare una pezzuola per pulirsi il naso, era considerato sconcio, la gente preferiva ricorrere all’uso delle dita o ai lembi della camicie.
I matrimoni erano molto precoci, e una donna quando superava venti ventidue anni era gia’ considerata un zitella senza speranze. A dodici tredici anni si poteva gia’ essere fidanzati o promessi da parte dei genitori.
In quel tempo i figli si partorivano in casa con il solo ausilio della levatrice. La puerpera generalmente restava a letto almeno per quindici o venti giorni e dentro casa veniva assistita dalla mamma e/o piu’ raramente dalla suocera. Dopo il parto amiche e conoscenti andavano a trovare la mamma col bambino portando in dono generalmente viveri di conforto, pasta, zucchero, caffe’ raramente una gallina, biscotti o altro. Il battesimo veniva effettuato dopo circa un mese, ed il nome del piccolo era senza ombra di dubbio il nome di uno dei nonni .
Come il battesimo e il matrimonio, anche il funerale aveva un suo rituale e una sua pompa. Al capezzale di un moribondo si davano appuntamento i parenti, gli amici e il prete, e non lo abbandonavano un’istante specialmente se era un possidente.
Giuseppe Della Porta

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