sabato 21 febbraio 2009

Dialogo tra un Emigrante e la Calabria

Dialogo tra un Emigrante e la Calabria
I parte
Sul treno diretto al nord, dal finestrino del vagone di seconda classe, Antonio Cristofalo osserva il paesaggio che sta abbandonando. Una donnina grassoccia siede innanzi a lui: ha i capelli neri, gli occhi castani e la pelle olivastra.
È in abito scuro e stringe tra le dita la coroncina del rosario. Dopo qualche ora di viaggio estrae dalla borsa due pagnotte imbottite e ne offre una al giovane Antonio.
- Prendete, questo pane è buono, dentro c'è salame casereccio. Abbiamo ucciso il maiale a gennaio, ed è ben stagionato. L'aria nostra ha balsami che giovano alla salute degli uomini e delle bestie. Sentite il fischio del treno? Mi porta lontano con i ricordi. Ho incontrato altri come lei. Dal viso e dalle mani leggo che è un contadino in cerca di un buon salario, capace di darle la possibilità di ricomprare la terra dei suoi avi o di ridare la luce al suo sguardo spento.
Lei però non farà più ritorno. Da giovane deluso dice addio ai luoghi della memoria.
- Signora, lei vede queste lacrime? Vengono dall'intimo: le dedico al caldo sole, ai verdi colli, ai deserti monti. Al piccolo paese costruito su un'aspra roccia.
- Quanta melanconia! Lei deve destarsi e seguire la sua strada. Nelle terre del nord troverà la prosperità. Avrà un lavoro e non patirà la fame. Potrà gustare pane bianco, e viziarsi un po'. Potrà comprare abiti nuovi e gettare via i vecchi stracci. Acquisterà, finalmente, scarpe, sciarpe, guanti... Dimenticherà lo stato deprimente, di miseria e rassegnazione.
- Le vostre parole non mi riguardano perché porto con me, in questa valigia, il ricordo di un mondo stigmatizzato. Ogni volta che la nostalgia sarà mia compagna l'aprirò e prenderò coscienza delle mie origini.
- Quanta solerzia! Quanto orgoglio! Forse non sa che i ricordi sono nemici che espugnano le fortezze!? E allora mi dice cosa rapisce del suo paese? E cosa dovrebbe rammentarle?
- Ecco, questo è un lembo delle mie fasce, il ricordo di un'antica tradizione.
Appartengo ai non abbienti, alla classe dei garzoni. Porto con me le memorie degli affanni e dei malanni: un tozzo di pane raffermo, un pezzo di formaggio, una bottiglia di vino ed un vasetto di grasso di maiale.
- Cosa ne vuole fare? Li butti via e si libererà delle ultime vestigia della Terra che abbandona. Mi ascolti e non si pentirà.
- Giammai! Mai dimenticherò.
- Smarrisca i ricordi. Li abbandoni su questo treno. Ciò converrà alla sua immagine, oppure lassù saggerà la tribolazione dell'emarginazione. Sarà un diverso, un meridionale, a causa della sua favella, del colore della sua pelle.
Avvertirà tanto male e sarà costretto a ritornare al paesello e il suo onore ne soffrirà.
- Tacete. Riscatterò l'immagine della Terra mia. Viva la Calabria, griderò, ovunque mi troverò. Tutti dovranno sapere che noi, certamente gente semplice, non siamo però incontinenti, fannulloni e nullatenenti. Siamo un popolo fiero, capace e intelligente.
- Lei parla bene, ma s'illude se crede in ciò che dice. Purtroppo ritornerà come fan tanti, ma a portare discordia tra gli abitanti. Sono sicura che lei è un giovane onesto, ma io conosco la vita, l'animo umano e soprattutto il cuore dell'emigrante. Il tempo saprà darmi ragione...

II parte
Un treno a lunga percorrenza. Un signore distinto ritorna alla sua terra natia.
È un viaggiatore di prima classe che, rotolando la sigaretta tra le dita, guarda distrattamente dal finestrino. Una signora anziana gli si siede accanto.
La donna lo guarda e tendendogli la mano gli offre una pagnotta di pane.
- Vuole un boccone?
- No grazie, non ho appetito.
- Vedo. È in carne lei. Si ricorda di me? No, certamente no. Ne è passato di tempo ed altre cose occupano la sua mente.
- Non capisco di cosa parlate. Inoltre non vi conosco signora, non rammento il vostro volto.
- Non ha importanza. Sono una madre e come tale sono abituata all'indifferenza dei miei figli. Partono e tornando vedono in me solo un viso anonimo, stanco, scialbo e spigoloso.
- Sono desolato, non ho alcun legame con voi. Sono in viaggio verso sud: vado a cercare moglie.
- Perdoni la mia curiosità: perché un bel giovane come lei ha bisogno di tornare in Calabria per trovare l'amore?
- Voglio una compagna illibata. Il mio ambiente di lavoro offre solo donne poco serie.
- Forse son solo donne emancipate e disinibite. Quale miglior complice? Oppure preferisce un essere taciturno ed eternamente consenziente? Figliolo, ho la certezza che quel che cerca ed è sicuro di trovare, affannosamente dovrà inseguire...
L'uomo non risponde e volge lo sguardo altrove. La signora continua a parlargli.

- Voglio essere indiscreta mio bel giovane: mi dice quali sono le sue intenzioni?
- Signora io ho lavorato tanto e con sacrifici ho acquistato una casa grande e capiente.
- Lei allora ripartirà; non rimarrà dunque al natio campo?
- Giammai! Non ricordo che stenti e tristezza della mia ventura passata. Ora conduco vita nuova. Per quale ragione ritornare a vivere sacrificandomi per un salario che apre le porte alla miseria?
- Le assicuro che il nome Calabria non vuole significare solo persistenze, ma anche cambiamenti.
- Signora, voi non potete comprendere. Porto con me, in questa valigia, il segno del progresso: vengo da una Terra dove non esiste pane conservato per quindici giorni e poi trangugiato. Mai più grasso per cucinare, ma oli vegetali.
- Figliolo, non disprezzi il suo seme. Non si abbandoni al desiderio del ripudio. Lei è calabrese.
- Oh, ma io amo la mia Terra: il caldo sole, le acque cristalline, i peschi in fiore... È la gente che io detesto, ostinata a vivere nella totale ignoranza, nella sola tradizione.
- Conservano se stessi, il passato, i luoghi della memoria. Non trova che tutto ciò sia lodevole?
- Il tempo in quelli si è fermato. Alcuni hanno cercato di liberarsi dalla rozzezza del quotidiano, ma in sostanza, nonostante la loro fatica, rimangono degli inetti. C'è ancora chi vive in catapecchie, accanto all'ovile, respirando l'aria impregnata di cattivi odori che gli animali e i loro escrementi emanano.
Certamente la gente che vive in città e studia è migliore, ma di quanto?
- Lei ha una visione distorta della realtà. Calabria non è sinonimo d'acquiescenza.
- Vorrei rimanere, vorrei mantenere le promesse fatte al mio cuore, ma riparto perché credo che qualcosa di malsano regni nelle persone che rimangono.
- Allora le chiedo solo un servigio: una preghiera per la sua terra.
- Pregare? Solo chi è rimasto è obbligato a farlo.
- Sono indignata per la sua ostinazione, tipica certo di un calabrese, ma ora le chiedo e non pretendo una risposta: è forse un eroe colui che si diparte, o è solo un povero diavolo che fugge dalle fiamme del suo inferno?
L'anziana donna non attese risposta, prese con sé il suo vecchio scialle e scese dal treno. Dal finestrino richiamò l'attenzione del suo antico interlocutore: -
Figliolo, non m'inganno, non sono un falso profeta. Ciò che mi dice suona come una vecchia canzone. Inutile sperare. Son solo una madre acerba! Chi parte non tornerà.

Eugenio Feraco


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