mercoledì 21 gennaio 2009

Archeologia come volano di sviluppo

Archeologia come volano di sviluppo

"Hanno litigato per anni dove mettere la cittadella regionale, e una volta che avevano deciso di piazzarla a Germaneto, ecco che viene fuori la solita archeologia a bloccare i lavori..." Ulderico Nisticò

Quando il diavolo ci mette la coda! Hanno litigato per anni dove mettere la cittadella regionale, e una volta che avevano deciso, e francamente per il meglio, di piazzarla a Germaneto, ecco che viene fuori la solita archeologia a bloccare i lavori. Sfortuna? Ma no, imprevidenza. Se infatti i progettisti o chi per essi si fossero rivolti all’archeologia preventiva come fanno ormai abitualmente al Nord, avrebbero lavorato serenamente e senza sorprese. Si doveva prevedere che spuntasse qualcosa? Certo, se i Calabresi in genere, politici ed ingegneri compresi, conoscessero due cose che in Calabria si ignorano: la storia, e il territorio. Avrebbero saputo che la Valle del Corace deve per forza essere una grande area archeologica. Già: alle foci del fiume c’è la Roccelletta, ovvero la città romana di Colonia Minervia Nervia Augusta Scolacium, per di più con la grandiosa chiesa di S. Maria della Roccella, con memorie della greca Scillezio; a metà del corso, gli evidenti toponimi latini di Settingiano, Gagliano, Gimigliano, Miglierina, Migliuso; e l’ager Teuranus, o Teira, che è Tiriolo (niente Ulisse e Feaci, per carità dei morti!); e alle sorgenti, S. Maria di Corazzo; e, dallo stesso territorio, il fiume Amato o Lamato, alle cui foci Terina, l’abbazia di S. Eufemia di Roberto Guiscardo, e il Bastione di Malta. Aggiungiamo la bizantina e imperiale Catanzaro; e gli Albanesi di Ùsito e Arenoso (Caraffa); e Rocca Falluca che potrebbe essere un toponimo normanno, ma anche arabo.  E quanti fatti: Crotone fondò o conquistò Terina; Locri, come insegna il mito di Eutimo, si spinse fino a Temesa; Dionisio il Vecchio voleva scavare un canale tra i due mari; Crasso tracciò un fossato contro Spartaco, che lo superò; i Romani, battuti Pirro e Annibale, abitarono l’Istmo con colonie; i Bizantini fondarono Catanzaro e Nicastro; si combatté durante il Vespro a Catanzaro e Squillace; a Maida tra insorti calabresi e truppe di Ferrante I; a S. Eufemia due volte tra Francesi e Spagnoli; nel 1528 Catanzaro resistette vittoriosamente all’assedio francese; avvennero scontri tra insorgenti calabresi e francesi di Giuseppe e Murat, e la grande battaglia di Maida o S. Eufemia; infine nel 1943 imperversarono i bombardamenti angloamericani. Insomma, con tutto questo passato, lo strano era che, scavando per qualsiasi motivo, non spuntasse fuori qualcosa.  E adesso? Tra i due estremi di o bloccare i lavori o colare il cemento sul passato, c’è spazio per il buon senso. Occorre una ricognizione archeologica approfondita, e una valutazione obbiettiva della situazione: c’è cosa deve essere conservato, cosa basta solo documentare, cosa non vale nulla. Quanto va conservato, non deve essere necessariamente un recinto isolato per pochi intenditori, ma può venire inglobato nel progetto di cittadella, assumendo una valenza simbolica di continuità della storia calabrese dal più antico all’oggi e, speriamo, all’avvenire. Edifici moderni attorno ai resti del passato: nulla di strano, purché lo si faccia nel rispetto della storia e con felici intuizioni urbanistiche e architettoniche. La cultura, sarebbe ora di capirlo anche in Calabria, può essere volano di economia e non ostacolo, né una faccenda noiosa per quattro gatti di accademici. Ci campano alla grande, con la cultura, altrove.

Ulderico Nisticò

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