lunedì 30 novembre 2009

Viaggiando sul Nilo


Prelude

Walls climb the ivy
And Khartoum, poised on its unamputated foot
Singing
Will the Nile ever escape into sleep?
We were the most loving of lovers, children trickling from us
- What name do you give me?
- I call you Presence of Earth
Come closer then
- What will be the taste of grief?
- …………………..
And we parted!

Sura

The Nile flows quietly…
Seeping through the city's silence
And the burning sorrows of villages.
Now friends no longer exchange greetings each morning
No longer recognize each other.
Everywhere one sees them, these one-time prophets,
Poverty-stricken, sipping their tea, their tears,
Speechless.
They hide death in their fraying clothes,
And all they can say to our children is: patience.
They fade into the trees, commit suicide
At night, derive from alcohol
Their arguments, embark on futile wars
With their women, give up
Their prayers, then disappear.
Walls climb the ivy
And Khartoum, sitting in a café
Smoking
In the dark you can't tell apart
Muggers from those whose journeys they'd cut short.
We were lovers, looking for our children
Who were breaking into bakeries, stealing fire
From the ovens' throats.
- What name do you give me?
- I call you earth's Fiery Anger
So rise up
- What will be the taste of ashes?
- …………………….
And we parted!

Sura
Fire is the opposite of Water
And Smoke is a memory that prepares us only for ash.
Water is the opposite of Fire
And the waves are like maps, rippling across the land.
And the girl? She is somewhere between this heart and this knife…
City - you're a handful of grains of wheat, tucked
Into the purses of usurers and slave-traders.
And the black men
Are approaching, approaching. River Nile
To what deserts are you taking my reflections? You depart
And I stand among the horses, by your gate,
And my soul would embark on a holy journey too,
For the silence suspended between us
Is a language floating among the ruins of a beautiful, vanished past.
O River Nile, father
Were the trees merely windows reflecting women's sorrows,
Or have your waters shattered their images,
Drowned the history of women,
And painted forever their meadows the colour of poverty?
Poverty invades the children's playgrounds, leaving
Them silent, accursed, their heritage
Only anger and disbelief.
The Nile opens his arms
Speaks to the migrant birds
Falls silent
Reigns
And never sleeps
Never sleeps
The Nile drinks dry the desert's tavern,
Gets drunk on dumps of toxic waste,
Must survive in the city, falling apart
Each night, rising up through its history
And never sleeps
Never sleeps
The drums began with the sun
And its light filtered songs that entered into the pores of the soul.
In the river's shallows boats sheltered from toil and wind.
Now the carnivals of the blacks take fire
And the Nile has burst through the layers of time.
And, see, the kingdom of Maroe appears
And the face of the Nubian lover
Who walks among the sorrows of the waterwheels
Searching for warriors among the horses.
Where does the line of ancestral blood begin
And when does the blood loss reach its climax,
O King Piankhy, enthroned ruler of Kush,
A kingdom unravelling in bitter silence?
Shout at the horses, and let
The waters ready themselves.
Let the maps explode. How can the land be lost
When the future belongs to the Nile?
The Nile knows of the disgrace of cities
That have vanished.
Knows of the old times
Yet never speaks.
It is the Nile…
Generations will pass, and there will always be children
Lingering on its banks,
Waiting
For it all to end.

....

Al-Saddiq Al-Raddi

The literal translation of this poem was made by Hafiz Kheir

The final translated version of the poem is by Mark Ford

"Quando il viaggio fisico coincide con il viaggio temporale! In questi giorni ho fatto una crociera sul Nilo, un viaggio che mi ha permesso di andare a ritroso nel tempo e di scoprire quelle che sono le radici della storia egiziana e della storia in generale. E' stato sicuramente un viaggio memorabile, capace di sorprendermi e di emozionarmi. Attraversare il fiume sacro e le terre da lui attraversate mi ha donato un sensazione particolarmente mistica.

Il viaggio sull'affascinante e misterioso Nilo e' una continua scoperta di tutte quelle città, teatro della storia egizia".

Prologo

Egitto: una terra sospesa tra passato e moderno, ancora testimone di una delle più grandi civiltà dell'antichità, un Paese che con le sue tradizioni islamiche e copte, con le sue oasi rigogliose ed i suoi deserti, i suoi maestosi templi e le sue moschee, ha da sempre esercitato un fascino inspiegabile nell'immaginario di ogni viaggiatore. Coniugando la mia passione per l'egittologia a quella per i viaggi, decido di partire alla scoperta di uno dei luoghi più straordinari dell'Africa Mediterranea per ripercorrere l'itinerario degli antichi carovanieri nubiani, che dalle terre più meridionali del regno egizio seguivano l'intero corso del Nilo spingendosi fino al Delta.



La partenza è prevista da Damietta a mezzanotte del 23 Ottobre con un minibus (Hamada e’ il nostro autista) per la volta di Cairo, alle 5,30 abbiamo il volo per Luxor (siamo Carlo, Patrizia, Fiorella e naturalmente io). Si preannuncia una settimana intensa: cinque giorni di navigazione lungo il fiume più lungo del mondo. Nella prima mattinata arriviamo al battello, il Tiyi, che ci porterà fino ad Assuan.


Primo giorno


Iniziamo la nostra visita nel primo pomeriggio nel tempio di Karnak, complesso monumentale vastissimo, dedicato soprattutto al dio Amon. Quello che ci colpisce subito e’ il lungo viale di sfingi dalla testa di montone. Superati i due piloni d'ingresso, siamo accolti da una grande sala ipostila, formata da più di 100 immense colonne con capitelli a forma di pianta di papiro. Le colonne sono alte ben 23 metri! Stupiti dalle dimensioni gigantesche di ogni cosa, ci perdiamo tra le rovine dei vari templi e cappelle per più di due ore, fino a ritrovarci sulle sponde del lago sacro per contenderci la poca ombra di una palma da datteri, sognando una bottiglietta di una bevanda rinfrescante. Fiorella approfitta della sosta per compiere sette giri intorno alla statua di un grande scarabeo sacro (La leggenda vuole che le donne che compiranno 3 giri attorno allo scarabeo, si sposeranno entro l’anno, quelle che ne compieranno 7, rimarranno incinte entro l’anno). Intanto io scatto le ultime foto all'obelisco di Hatshepsut, dove, in via del tutto eccezionale, si sono conservati gli unici cartigli che portano ancora il suo nome. Prossima meta: tempio di Luxor. Il tempio è simile a quello visto finora ma ha due particolarità: ospita al suo interno la moschea di Abu el-Haggag e uno degli obelischi che si trovavano all'ingresso è quello portato in patria dai francesi e collocato in Place de la Concorde a Parigi. Nella serata siamo tornati al tempio di Karnak per lo spettacolo di Luci & Suoni. Per oggi le visite archeologiche sono finite.


Secondo giorno


Dopo una bella nottata di sonno (la precedente l’abbiamo passata in bianco), il suono della sveglia mi riporta alla realtà e l'emozione per la visita che mi aspetta inizia a salire. Circa venti minuti dopo la colazione, mi ritrovo sul minibus diretto alla famosa Valle dei Re, insieme alla nostra guida, un ragazzo egiziano di nome Martyro, che ci accompagnerà per l’intero viaggio alla scoperta del suo Paese. In un paese islamico la presenza di una guida turistica copta è un fatto piuttosto raro: Martyro ci dice che ha frequentato l'università e ha imparato l'italiano senza mai aver messo piede in Italia. Con il pullman costeggiamo i numerosi canali artificiali che dal Nilo si estendono fino al limite della zona desertica. Lungo i canali ci sono le abitazioni di fango e mattoni di argilla dei contadini. Martyro ci informa che i contadini egiziani, nonostante l'apparenza, non sono affatto poveri perché solitamente sono proprietari della terra che coltivano. Alcune casette hanno la facciata affrescata, segno che i suoi abitanti hanno compiuto, da buoni musulmani, il pellegrinaggio alla Mecca. Superiamo la striscia verdeggiante di terre coltivate e ci inoltriamo verso il deserto: anche se ancora non si vede nulla, se non un paio di colline rocciose, ci avvisano che siamo arrivati a destinazione: la Valle dei Re. E, mentre proseguiamo verso il cuore della collina, su un'altura si materializza il profilo della casa di Howard Carter, il famoso archeologo che nel 1922 scoprì l'unico sepolcro della valle lasciato quasi intatto dai profanatori, la tomba di Tutankhamon. Scendiamo dal pullman e un trenino per turisti (tristissimo!) ci porta fino all'ingresso della zona archeologica vera e propria. La Valle dei Re, necropoli reale del Nuovo Regno (1570-1085 a.C.), conta ben 62 tombe, di cui la maggior parte purtroppo fu profanata già in epoca faraonica. L'unica tomba trovata intatta è appunto quella di Tutankhamon; tutti gli oggetti che vi furono rinvenuti sono oggi conservati al Museo del Cairo. Ci infiliamo nella prima delle tre tombe che visiteremo, quella di Ramses IV. Siamo tutti sorpresi dalla miriade di geroglifici che ci accoglie fin dalla soglia della galleria che conduce alla stanza del sarcofago. Subito individuo alcune caratteristiche fondamentali dei lunghi testi in bassorilievo: i cartigli, ossia figure ellittiche che contengono il nome del faraone, e il tradizionale simbolo egizio, l'ankh o chiave della vita, a forma di croce uncinata. Alcuni disegni, rigorosamente di profilo, mantengono ancora gli antichi colori. Il soffitto della sala del sarcofago raffigura la dea Nut, simbolo della volta celeste. Rimanere ad osservare ogni particolare dei bassorilievi e ogni dettaglio dei testi è un'esperienza unica ed emozionante, soprattutto immaginando la tomba appena affrescata e ancora colma di tesori. La seconda tomba che fa parte del nostro programma di visita è quella di Thutmosi III, scavata direttamente nella roccia viva della collina a molti metri di profondità. Anche questo sepolcro è riccamente decorato, ma il caldo è insopportabile e tutti siamo impazienti di uscire all'aria aperta. Ci dirigiamo quindi verso la tomba di Merenptah, nella quale è ancora possibile vedere l'enorme sarcofago antropoide in granito: rimane un mistero come abbiano fatto gli antichi costruttori a calare il blocco di pietra fin quaggiù... Nella vasta sala ipostila del sarcofago mi chiedo quale spettacolo doveva offrire questa grande tomba con le sue ricchezze purtroppo ormai perdute. Dopo la visita alla Valle dei Re ci dirigiamo in pullman verso il tempio della regina Hatshepsut (Nuovo Regno, XVIII dinastia, 1490-1468 a.C.). La collina di roccia rossa in mezzo al deserto forma qui un'immensa semicirconferenza che sembra creata ad arte per accogliere il maestoso edificio. Il tempio, incastonato nella roccia, è formato da tre splendide terrazze colonnate, collegate tra loro da una larga rampa che divide la costruzione in due parti perfettamente simmetriche. Il tempio fu progettato e costruito dall'architetto Senmut, secondo famoso architetto egiziano dopo il più noto Imhotep, autore della piramide a gradoni di Zoser a Saqqara. La leggenda vuole che Senmut fosse, oltre a primo architetto reale, l'amante della bella regina e che abbia costruito questo tempio proprio per immortalare l'amore che lo legava alla sovrana. La regina Hatshepsut è passata alla storia per essere stata una delle poche donne faraone nel corso delle tante dinastie. Figlia di Thutmosi I, dopo la morte del padre entrò in contrasto con il nipote del defunto faraone ed ebbe la meglio nelle lotte dinastiche che seguirono, ascendendo ella stessa al trono d'Egitto. Si dice che portasse le barba posticcia e che indossasse abiti maschili per affermare la propria sovranità agli occhi del popolo. Con la morte della regina e la presa di potere di Thutmosi III, i cartigli che portavano il nome di Hatshepsut e le immagini che la raffiguravano vennero cancellati, affinché la memoria della donna-faraone cadesse per sempre nell'oblio.Ci rimettiamo sul minibus ma ci fermiamo quasi subito in una delle svariate fabbrichette artigianali di Alabastro poste lungo la strada.Dopo una breve sosta e qualche acquisto ci avviamo verso la Valle delle Regine.Situata a sud-ovest della Valle dei Re, questa necropoli a partire dalla XVII dinastia, ma in prevalenza durante la XIX e la XX era destinata a regine e principi reali. Tra il 1903 e il 1906, gli scavi diretta da Ernesto Schiaparelli hanno portato alla luce molte delle ottanta tombe della necropoli, alcune incompiute e purtroppo nessuna intatta. Sono tombe meno vaste di quelle dei re e decorate diversamente, mancano i pozzi e sono rare le raffigurazioni dei cicli relativi al viaggio del Sole nell'aldilà. Molteplici sono invece le scene del Libro dei Morti e le immagini dei defunti davanti alle varie divinità. Notevoli sono la cura dei particolari, l'equilibrio delle composizioni e l'intensità dei colori.La tomba più importante scoperta da Schiaparelli è quella di Nefertari, moglie di Ramesse II.Importanti anche quelle dei figli di Ramesse III, Khaemuaset e Amonherkhopeshef. Nella tomba della principessa Amhose fu anche rinvenuta la mummia e una delle più antiche decorazioni del Libro dei Morti oggi conservate al museo Egizio di Torino. Sulla strada per tornare sul battello ci fermiamo a fotografare i celebri colossi di Memnone. Le due statue (alte 16 metri) sono tutto ciò che rimane dell'antico tempio di Amenofi III, monarca che le statue infatti rappresentano a dispetto del loro nome. Nel 27 a.C. un terremoto aprì nei colossi lunghe fenditure responsabili del fenomeno per cui le statue, all'alba, quando la pietra cominciava ad asciugarsi dall'umidità della notte, emettevano un suono simile alla vibrazione di una corda di chitarra. Per questo motivo i Greci identificarono i colossi con Memnone (personaggio della leggenda omerica), ritenendo che salutasse con il canto la madre Aurora. Con il restauro del III secolo d.C., voluto dall'imperatore romano Settimio Severo, i colossi smisero di "cantare". Ci avviamo tutti verso il battello per il pranzo, una doccia e un riposino mentre inizia la navigazione verso sud fino ad Edfu. La sera, assistiamo dal ponte al passaggio della chiusa di Esna per superare il dislivello di sette metri che ci separa dal tratto del Nilo Esna-Assuan.


Terzo giorno


Anche la nostra seconda notte in battello è trascorsa, quindi, alle 7.00 del mattino, ci ritroviamo tutti a fare colazione aspettando impazienti l'inizio della visita al tempio di Edfu. Durante la notte il nostro battello ha navigato verso sud fino alla cittadina di Edfu, a metà strada tra Luxor ed Assuan, meta finale della crociera. Dopo essere scesi dalla barca, prendiamo le tipiche "carrozzelle" per raggiungere il tempio di Horus. Partiti dalla sponda sinistra del Nilo, attraversiamo il mercato, tentando di fare qualche fotografia qua e là quando il guidatore rallenta la corsa del cavallo. Arriviamo a destinazione per l'ennesima volta presi d'assalto da decine di venditori: qui si trova proprio di tutto, dai vestiti alle cartoline, dalle statuette di finto basalto ai tipici copricapi locali, dagli scialli di lino alle collane di semi profumati. Ma non abbiamo tempo da perdere e rimandiamo a dopo gli acquisti per dirigerci verso il tempio che si staglia imponente davanti a noi, spuntando come per magia dai tetti delle bancarelle. Il tempio di Horus è più recente di quelli di Karnak e Luxor, risale infatti all'epoca tolemaica e la sua costruzione iniziò nel 237 a.C., anni in cui la terra d'Egitto era ormai sotto la dominazione greca. I Greci continuarono a erigere templi secondo i modelli più antichi, rispettando le tradizioni culturali dell'antico popolo egizio ed usando ancora la scrittura egiziana per eccellenza, il geroglifico; ma il simbolismo e il valore religioso della planimetria del tempio e delle sue iscrizioni in epoca tolemaica erano ormai andati perduti. In ogni caso, il tempio di Edfu costituisce ancora il modello esemplare di tempio egizio, con la sua cinta muraria, le due torri che formano il pilone di ingresso, il vasto cortile interno, la sala ipostila e il "sancta sanctorum", l'area più segreta del tempio riservata ai soli sacerdoti, nella quale venivano custodite la barca sacra e la statua della divinità. Il tempio di Edfu è dedicato a Horus, il dio dalla testa di falco, figlio di Osiride e di Iside, immagine divina di ogni faraone e del suo potere regale. Infatti, ad accoglierci sulla soglia del santuario, c'è proprio la statua di un falco, alta ben 3 metri, che porta le due corone del Basso e dell'Alto Egitto. Ci facciamo scattare una foto di gruppo proprio sotto lo sguardo vigile di Horus, sperando di godere della sua protezione durante tutto il nostro viaggio. La visita al tempio è finita e, sempre in "carrozzella", ritorniamo al battello per pranzare. Prima di rientrare aquistiamo i vestiti tipici egiziani (galabeya) per la festa di questa sera. Gran parte del pomeriggio trascorre lungo il fiume sacro proseguendo la navigazione verso sud per raggiungere Kom Ombo. Comodamente seduti sul ponte superiore ci servono il pranzo proprio per farci assistere ai pittoreschi paesaggi situati sulle coste del fiume, si può infatti ammirare il paesaggio lungo il Nilo: palme da datteri, capanne di contadini, campi coltivati, barchette azzurre ancorate a riva, isolette lussureggianti che dividono il fiume in due rami e più oltre solo deserto. Man mano che si procede verso sud i campi con il loro verde brillante lasciano posto alle tinte calde del deserto ed il paesaggio inizia a cambiare: il letto del fiume si fa sempre più stretto e le dune di sabbia più vicine; vediamo anche numerose rovine di antichi templi e ingressi di tombe sconosciute che si affacciano direttamente sul Nilo. Nel pomeriggio arriviamo a Kom Ombo. La visita al tempio "doppio", dedicato alle due divinità Sobek e Haroeris, è ancora più affascinante per via dell'ora del giorno. Le pareti e le colonne si colorano di arancione e rosa, illuminate dagli ultimi raggi di Atum-Ra, il Sole della mitologia egizia. Alcune decorazioni conservano i colori originali e lo spettacolo risulta ancora più bello. Questo tempio fu costruito in onore del coccodrillo sacro, animale di cui questo tratto del Nilo abbondava in età faraonica. A lato del corpo centrale del tempio, sono custoditi in una stanzetta poco illuminata tre esemplari mummificati di coccodrillo. Usciti dalla zona archeologica, ci diamo agli affari contrattando con i locali. Tornati sul Tiyi, dopo un bicchiere di karkade’ per dissetarmi e una doccia, ci vestiamo con la galabeya in occasione della cena egiziana che è stata organizzata. Nel frattempo, la navigazione lungo il Nilo continua.


Quarto giorno


Dopo una notte intera di navigazione, siamo giunti nella cittadina di Assuan, sulla riva destra del Nilo. In questo tratto il fiume sacro si divide in numerosi piccoli rami che conferiscono al paesaggio un carattere particolare, che avremo modo di ammirare durante la gita in feluca organizzata per il pomeriggio. Assuan è famosa soprattutto per la Grande Diga, eretta nel 1960-64, da cui ha avuto origine il lago Nasser, che deve il suo nome al presidente Gamal Abd en-Nasser, che ne volle la costruzione per migliorare i settori agricolo ed economico dell'Egitto moderno. A inaugurare la nuova giornata egiziana è la visita alla Diga Vecchia di Assuan (costruita all'inizio del XX secolo e ingrandita alla fine degli anni Venti), a cui segue quella alla Grande Diga, situata 8 km più a monte. Dalla strada sopraelevata che si trova sulla diga si scorgono verso nord il profilo dell'isola Elefantina e dei palazzi di Assuan, nonché i tanti rami del Nilo che rendono questo luogo unico al mondo, verso sud il grande lago Nasser, che si estende per ben 500 km fino al Sudan, bagnando i piedi dei templi di Abu Simbel. Da qui sopra ci si rende davvero conto di quanto sia enorme la Grande Diga con i suoi 3600 metri di lunghezza e 111 di altezza, profonda alla base di 980 e alla sommità di 40 metri e con un volume complessivo di 42,7 milioni di metri cubi! Soltanto l'imponenza della Grande Piramide di Cheope mi farà sentire ancora più piccola di così... Nonostante le grandi migliorie riscontrate in molti settori dell'economia dopo la costruzione della Diga di Assuan, sono stati numerosi anche gli svantaggi di questa monumentale impresa: innanzitutto l'aumento di salinità nella zona del Delta, poi il drastico cambiamento dell'ecosistema, gli svantaggi nel campo della pesca e così via. Uno dei danni più gravi causato dalla costruzione delle due dighe è stato forse quello che ha colpito i numerosi templi che si trovano lungo le rive del fiume, soprattutto in Nubia, che sarebbero stati sommersi dalle acque del lago Nasser senza l'intervento dell'UNESCO. Quattordici templi, tra cui il famoso tempio di Abu Simbel, sono stati salvati dalle acque grazie alla loro accurata ricostruzione, dopo averli smontati, in luoghi più sicuri. I templi nubiani quindi non si trovano più nei siti originari, ma fortunatamente è ancora possibile ammirare la loro straordinaria bellezza. Dopo la visita alla Grande Diga, ci rituffiamo nel passato con un salto di 3500 anni. Senza sosta, ci avviamo con Martyro (o Romero come erroneamente lo chiamava Patrizia!) verso il Nilo per salire su una barchetta a motore che ci porterà fino all'isola di Agilkia. Quella di Agilkia è una delle tante isolette di cui questo tratto del fiume abbonda, ma ha una particolarità, quella di ospitare il complesso monumentale di File, salvato per miracolo dalle acque nel 1972-80. Il tempio di File (Epoca Tarda, XXX dinastia, IV secolo a.C.), che si trovava sull'omonima isola, fu infatti semisommerso con la costruzione della Diga Vecchia e solo negli anni Settanta si provvide a scomporlo in varie parti e a trasferirlo su un'isola più alta, quella di Agilkia, che lo ospita ancora oggi. Le colonne del tempio portano ancora il segno delle acque del Nilo. Collocato su questa isoletta verdeggiante e circondato dal fiume, il tempio si intona armoniosamente con il paesaggio e merita davvero qualche foto scattata dalla barca. La nostra prossima meta è infatti un'antica cava di granito, materiale per cui questa zona era famosa già nell'antichità (e da cui si ricavavano i blocchi per la costruzione dei templi), per vedere il misterioso obelisco incompiuto. Su una piccola collinetta affiora dalla roccia, steso in orizzontale, un obelisco, scolpito in un unico pezzo di granito, lungo circa 40 metri. L'obelisco risale probabilmente al periodo della regina Hatshepsut e fu lasciato incompiuto, intrappolato nella roccia per l'eternità, forse a causa delle crepe che si erano aperte nel granito. Prima di tornare al porto di Assuan, dove ci aspetta una particolare gita in feluca, l'imbarcazione a vela tipica del luogo, ci fermiamo in una fabbrica di papiro (Osiris Papyus) dove dopo una dimostrazione pratica di come si lavora abbiamo comprato qualche papiro. Non appena arrivati al porto ci rechiamo all'imbarcadero dove ci aspetta una feluca. Da lontano vediamo l'Isola Elefantina. L'origine del nome di questa grande isola fluviale è ancora poco chiara: probabilmente deriva dalle numerose rocce che ricordano le zampe di un elefante che affiorano dall'acqua, mente una teoria più semplice vuole che l'appellativo "elefantina" sia motivato dalla forma dell'isola stessa, una testa di elefante. L'ipotesi più plausibile è però quella che può essere definita "storica" secondo la quale questo particolare nome deriva dalle numerose carovane di passaggio, formate appunto da elefanti, dei principi della Nubia che si dirigevano verso Tebe o Menfi per rendere omaggio al faraone. Al tempo dei faraoni, infatti, in queste zone non era rara la presenza di animali esotici (oggi diffusi soltanto nell'Africa più meridionale a causa del lento processo di desertificazione), quali leoni, gazzelle, struzzi ed anche elefanti, come dimostrano alcuni reperti della tomba di Tutankhamon che raffigurano scene di caccia al ghepardo o al leone; per non parlare dei numerosi ventagli di piume di struzzo o delle vesti in pelle di leopardo trovati da Carter nella medesima tomba. L'Isola Elefantina è famosa anche perché fu proprio qui che nel 230 a.C. il greco Eratostene tentò la misurazione della circonferenza terrestre.Costeggiamo quindi l'Isola degli Alberi o Isola Kitchener, a nord-ovest dell'Isola Elefantina, oggi orto botanico dove crescono numerosi tipi di rare essenze tropicali asiatiche e africane. Ritornati alla nostra motonave, ci aspetta dopo un pomeriggio libero, avevamo pensato di andare a visitare il villaggio nubiano ma alla fine abbiamo deciso di trascorrerlo sul battello. Questa è l'ultima sera di crociera sul Nilo perché domani, dopo una tappa ad Abu Simbel, partiremo per il Cairo.


Quinto giorno


All'alba del 27 ottobre ci svegliamo non troppo presto (5,30), di solito si fa la levattaccia (alle 3,00), ma ce la siamo scampata. Prendiamo un volo che in 40 minuti ci porterà ad Abu Simbel per visitare i grandiosi templi di Ramses II. L'aereo rimane il mezzo più comodo per raggiungere il sito archeologico di Abu Simbel, che si trova a 250 km da qui sul confine con il Sudan, anche se una gita in 4X4 sarebbe stata senza dubbio più affascinante. Ben presto iniziamo ad atterrare all'aeroporto turistico di Abu Simbel, planando dolcemente a pochi metri dalla superficie del lago Nasser, su cui si affacciano i due famosi templi. Finalmente a terra, possiamo scorgere in lontananza le colline che ospitano i due edifici. Il Grande Tempio ed il tempio di Hathor, costruiti dal celebre Ramses II (Nuovo Regno, XIX dinastia, 1290-1224 a.C.), furono spostati durante gli anni Sessanta per salvarli dalle acque che li avrebbero altrimenti sommersi: oggi due colline artificiali ospitano i templi, smontati e poi rimontati 64 metri più in alto rispetto al sito originario.Lo spettacolo è straordinario: la distesa d'acqua del lago Nasser brilla sotto i raggi del sole, che si alza lentamente fino a raggiungere lo zenit illuminando le facciate dei due templi. La maestosità dei quattro colossi di Ramses II del Grande Tempio è davvero indescrivibile. Il volto sereno di Ramses rimarrà inalterato nell'eternità, nonostante il trascorrere dei millenni, fisso verso l'orizzonte. Queste gigantesche figure del sovrano (sono alte ben 20 metri!) portano il nemes sormontato dalla doppia corona dell'Alto e del Basso Egitto, pettorali e bracciali su cui sono incisi i cartigli con le varie titolature del faraone. Scatto numerose foto alla facciata e finalmente sono pronta ad entrare attraversando il grosso portale, sormontato da una nicchia che ospita la figura di Ra-Horakhty, nella forma di un falco, dio protettore del tempio e simbolo del sole che sorge.I bassorilievi e i geroglifici sulle pareti celebrano le gloriose imprese belliche del faraone ed in particolare la nota battaglia di Qadesh, in cui secondo la cronache egiziane Ramses II sconfisse Muwatalli e l'esercito ittita. Attraversati il pronao ed il vestibolo con le loro magnifiche raffigurazioni, si giunge al sacrario, che ospita le statue di Amon-Ra, Ptah, Ra-Horakhty e del faraone stesso divinizzato. Hala ci spiega che, secondo la tradizione egiziana, all'alba di due particolari giorni dell'anno i raggi del sole nascente, passando attraverso il portale d'ingresso e fendendo l'oscurità del tempio, arrivano ad illuminare i volti delle divinità, escluso quello di Ptah. Sulla destra del Grande Tempio c'è il tempietto di Hathor, fatto erigere da Ramses per omaggiare la bella moglie Nefertari, incarnazione vivente della dea Hathor. Le scene scolpite sulle pareti interne sono di incredibile bellezza e testimoniano l'amore che legava il faraone alla regina. Lasciandoci alle spalle le storie d'amore e di guerra dei templi di Abu Simbel riprendiamo l'aereo per tornare ad Assuan. Dopo il pranzo al sacco preparatoci dallo staff del Tiyi, salutiamo a malincuore le acque del Nilo che ci hanno tenuto compagnia durante questi giorni. Per la seconda volta nella stessa giornata, ci rechiamo all'aeroporto di Assuan. Destinazione: Il Cairo. Un'oretta e mezza di volo e ci troviamo immersi nella vita frenetica di una delle più grandi metropoli africane. Ci rimettiamo in viaggio verso Damietta con il minibus guidato da Hamada e come i classici film il calar del sole sembra voler dare la fine al nostro viaggio. Domani ritroveremo ancora il Nilo ma solo alla sua foce.


Antonino Della Porta

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